giovedì 9 agosto 2012

I SECCATORI (da uno scritto di G. Deleuze, <<Le Monde>>, 7 aprile 1978)

Perché i palestinesi sarebbero dei <<validi interlocutori>> dal momento che non hanno un paese? E perché dovrebbero averlo dal momento che gli è stato tolto? Non si è mai data loro altra scelta se non quella di arrendersi senza condizioni. Non gli si propone altro che la morte. Nella guerra che li oppone a Israele, le azioni di Israele sono considerate delle risposte legittime (anche quando appaiono sproporzionate), mentre quelle dei palestinesi sono trattate esclusivamente come terrorismo. Oltretutto, un morto arabo non ha lo stesso valore né lo stesso peso di un morto israeliano. 
Israele, dal 1969, non ha mai smesso di bombardare e di mitragliare il Sud del Libano. Ha riconosciuto esplicitamente che la recente invasione di questo paese non era una risposta all’azione del commando di Tel Aviv (trentamila soldati contro undici terroristi), ma il coronamento premeditato di tutta una serie di operazioni di cui si riserva l’iniziativa. Per una <<soluzione finale>> del problema palestinese, Israele può contare su una complicità quasi unanime degli altri stati, con nuance e restrizioni diverse. I palestinesi, gente senza terra né stato, sono dei seccatori per tutto il mondo. Per quanto ricevano armi e denaro da alcuni paesi, sanno quel che dicono quando dichiarano di essere assolutamente soli.
I combattenti palestinesi, inoltre, affermano che in fondo hanno riportato una vittoria. Nel Sud del Libano avevano lasciato solo gruppi di resistenza, i quali sembrano aver retto molto bene.
Per contro l’invasione israeliana ha colpito alla cieca i rifugiati palestinesi, i contadini libanesi, un intero popolo di coltivatori poveri. Distruzioni di villaggi e di città, e massacri di civili sono stati confermati: l’utilizzo di bombe a grappolo è segnalato da diverse fonti. Sono anni che la popolazione del Libano meridionale non smette di andarsene e ritornare, in un esodo infinito, sotto i colpi di forza israeliani che non si capisce bene in cosa si distinguano dagli atti terroristici. L’ultima escalation ha lasciato in strada duecentomila persone senza un tetto. Lo stato di Israele applica al Libano meridionale il metodo già sperimentato in Galilea e altrove nel 1948: <<palestinizza>> il Sud del Libano.
I combattenti palestinesi nascono dai profughi. Israele pretende di vincere i combattimenti facendo altre migliaia di rifugiati, da cui nasceranno nuovi combattenti.
Non sono soltanto i nostri rapporti col Libano che ci fanno dire: lo stato di Israele uccide un paese fragile e complesso. C’è anche un altro aspetto, più inquietante. Il modello Israele-Palestina è determinante nell’attuale problema del terrorismo, anche in Europa. L’intesa mondiale tra gli stati, l’organizzazione di una polizia e di una giurisdizione mondiali, che si stanno preparando, portano necessariamente a un’estensione in base a cui la gente sarà sempre più assimilata a <<terroristi>> virtuali. Ci troviamo in una situazione simile a quella della guerra di Spagna, quando la Spagna serviva da laboratorio e da sperimentazione per un futuro ancora più terribile.
Oggi, è lo stato di Israele a compiere la sperimentazione. Fissa un modello di repressione che sarà adattato e fatto fruttare in altri paesi. C’è una forte continuità nella sua politica. Israele ha sempre ritenuto che le risoluzioni dell’Onu che lo condannavano verbalmente, di fatto gli dessero ragione. L’invito ad abbandonare i territori occupati l’ha trasformato nell’obbligo di istallarvi delle colonie. Attualmente ritiene che l’invio di una forza internazionale nel Sud del Libano sia eccellente … a condizione che essa si incarichi in sua vece di trasformare la regione in una zona di polizia o in deserto controllato (una settimana dopo l’invio delle forze israeliane che occuparono fino a un sesto del territorio libanese, i caschi blu dell’Onu si istallarono nel Sud del Libano). E’ un curioso ricatto, da cui il mondo intero uscirà solo se ci sarà una pressione sufficiente affinché i palestinesi siano infine riconosciuti per quel che sono, dei <<validi interlocutori>>, perché dentro uno stato di guerra di cui non sono certo i responsabili.

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